News

Un progetto europeo può avere forme differenti. Normalmente un progetto viene attuato da un consorzio costituito da partecipanti provenienti da diversi Stati Membri dell’Unione europea che hanno come obiettivo quello di aumentare la mobilità, sviluppare nuove conoscenze, trasferire buone prassi oppure rafforzare la dimensione europea. La dimensione, l’organizzazione interna e l’obiettivo dei singoli progetti possono variare a seconda del settore e dell’argomento trattato. Sempre più spesso si assiste alla costituzione di consorzi ampi e a reti di progetto. In questo modo gli enti partecipanti mettono a disposizione del consorzio o della rete le loro competenze specifiche in un determinato settore. Un progetto UE può finanziare e sostenere una serie di attività quali creazione di reti, scambi di buone pratiche, accesso transnazionale alle infrastrutture, studi, conferenze, ecc.).
Nell’ambito dei programmi tematici possono essere anche finanziati progetti individuali. In questo caso un progetto viene finanziato per sostenere progetti attuati da team di lavoro nazionali o transnazionali. Inoltre i progetti europei possono anche finanziare attività di formazione destinate alla rete oppure al personale delle singole istituzioni.
Come faccio a sapere se il mio progetto è ammissibile ad un finanziamento comunitario?
Un progetto europeo, per poter avere successo, deve contenere una serie di elementi base che giustifichino la richiesta di finanziamento nell’ambito di fondi europei.
Inoltre, un progetto di successo deve essere in grado di “sopravvivere” al finanziamento. La check-list qui di seguito proposta contiene alcuni elementi utili per verificare l’ammissibilità della propria proposta di progetto.
Check-list
Nella redazione di una proposta di progetto bisogna assicurarsi che questa risponda ai seguenti criteri:
Transnazionalità
 Il progetto incoraggia la mobilità geografica?
 Coinvolge almeno più di 2/3 partner di Paesi europei?
 Dal momento che singole iniziative non vengono prese in considerazione siamo sicuri che il progetto preveda un partenariato forte e di ampie dimensioni?
Innovazione
 In che modo il nostro progetto è innovativo?
 Crea metodi e processi nuovi?
 Definisce nuovi obiettivi?
 Modifica sistemi già esistenti?
 Introduce approcci nuovi?

Valore aggiunto europeo
 Gli obiettivi e le conseguenze delle azioni del nostro progetto possono essere raggiunte meglio a livello europeo piuttosto che a livello locale o nazionale?
Sussidiarietà
 L’Unione europea interviene poiché gli enti locali, regionali e nazionali non sono stati in grado da soli di risolvere quel problema specifico?
Sostenibilità
 Il flusso dei benefici che il progetto dovrebbe apportare si svilupperà nel lungo termine- Interesse comunitario
 Il progetto risponde agli obiettivi dell’Unione europea in quel determinato settore?
Visibilità e trasparenza
 Stiamo garantendo abbastanza visibilità al progetto di modo che il grande pubblico sia consapevole di ciò che stiamo facendo?
 Stiamo rendendo disponibili tutte le informazioni relative al progetto al grande pubblico?

Tra gli strumenti alternativi per il credito alle imprese c’è il P2P Lending, sempre più protagonista del Fintech italiano anche in termini di vantaggi fiscali e opportunità di
business.
Disintermediazione e modello condiviso sono due termini particolarmente ricorrenti, atti a descrivere un cambiamento sostanziale di prospettiva, che sta interessando il mondo ad ogni livello, personale ed economico. Non si contano più i casi di successo di realtà che sono state in grado di entrare in un mercato tradizionale con un approccio innovativo, basato sostanzialmente sui due elementi citati in apertura.
In campo finanziario, questo processo rivoluzionario ha preso la forma del Crowd- lending, o P2P Lending, ovvero della possibilità di erogare crediti sulla base di una piattaforma che mette in comunicazione in tempo reale e in modalità dinamica i richiedenti (le aziende) e gli investitori (che possono essere privati o realtà istituzionali).
Per le aziende in cerca di finanziamenti per espandere il loro business il Crowd- lending rappresenta un modo per superare i vincoli imposti dal Credit crunch, ovvero la stretta che le banche – e comunque i canali tradizionali – hanno imposto alla loro offerta di capitali.
La situazione è particolarmente complessa per le PMI, che riescono ad accedere al credito tradizionale in misura inferiore alle realtà più grandi e strutturate. I dati di Confcommercio in questo senso parlano chiaro: se nel 2009 il 60% delle imprese riusciva a ottenere un finanziamento, nel 2016 il dato registrato è stato del 38%.
In pratica, solo un’azienda su tre riesce ad accedere al credito necessario per il proprio business. E questo apre la porta a una serie di strumenti alternativi, tra cui appunto il Crowd-lending. Che porta con sé ulteriori vantaggi, come ad esempio la velocità nel processo di erogazione del credito. I tempi dei canali tradizionali sono infatti molto dilatati e male si conciliano con un’economia reale che è sempre di più “in real time”. Una volta identificata un’opportunità di mercato, anche il tempo con cui questa viene sfruttata ha il suo peso. In un mercato in cui le rendite di posizione sono praticamente scomparse, avere tempi certi di risposta e disponibilità del credito a breve termine rappresenta un significativo vantaggio di business.
Dal punto di vista dell’investitore invece, il Crowd-lending offre l’opportunità di ottenere rendimenti interessanti in funzione del rischio all’interno di una strategia di diversificazione del portafoglio. Il suo sviluppo potrebbe essere ulteriormente accelerato se, come diversi operatori del settore auspicano, venisse allargata il più possibile la tipologia di strumenti finanziari ammessi in un portafoglio PIR (Piani Individuali del Risparmio).
La novità più importante arriva invece dalla Legge di Bilancio 2018, che ha modificato la tassazione degli interessi provenienti da investimenti sulle piattaforme di Crowd-lending. La tassazione ad aliquota marginale IRPEF in vigore fino al 31 dicembre 2017 viene sostituita da una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nella misura del 26%. Questo semplifica decisamente le cose per chi intende investire in una piattaforma di Crowd-lending. A partire da gennaio 2018, gli interessi maturati vengono tassati con un’aliquota fissa del 26%, a titolo di imposta. Non sarà quindi più necessario alcun adempimento aggiuntivo da parte dell’investitore. Si tratta di una semplificazione normativa che porterà vantaggi significativi al
mercato italiano che registra già di per sé importanti tassi di crescita sebbene in una fase iniziale di sviluppo. Non solo, questa nuova tassazione rappresenta un primo importante traguardo del Fintech italiano e testimonia la crescente attenzione delle istituzioni verso questo settore.

Agri-Food tech, nasce il fondo di investimento Five Seasons Ventures Si chiama Five Seasons Ventures  ed è la nuova società di gestione con uffici a Parigi e Bologna che oggi annuncia il primo closing a oltre 60 milioni di euro del suo fondo di venture capital specializzato in investimenti in nuove tecnologie agro- alimentari.
Secondo quanto riporta una nota diffusa per annunciare la nascita del nuovo venture capital, il fondo investirà le sue risorse in startup e aziende innovative europee, con particolare interesse al mercato italiano e francese, che sviluppano tecnologie volte a risolvere i macro problemi e le sfide che il settore agro-alimentare attualmente presenta, dalla produzione di cibo più sano e salutare, al rendere maggiormente efficienti le filiere produttive e distributive, dalla nutrizione personalizzata, alle proteine alternative sostenibili.
Il settore del foodtech è diventato di primario interesse per gli investitori di capitale di rischio, a seguito di una prima ondata di aziende innovative emerse in Silicon Valley a partire dal 2014, alcune delle quali già acquisite nel 2017 da importanti multinazionali. Secondo AgFunder AgriFood Tech Investing Report, gli investimenti di venture capital in tecnologie agroalimentari hanno raggiunto i 10 miliardi di dollari nel 2017, quadruplicando quanto investito nel 2014. Nonostante la crescita di investimenti, ci sono tuttora solo un numero limitato di fondi di venture capital specializzati in questo settore in Europa, dove Five Seasons Ventures si posiziona come al momento il più grande gestore indipendente.
Five Seasons Ventures è stata fondata dai partner Ivan Farneti and Niccolò Manzoni sulla base del loro background ed esperienza di investimento. Ivan Farneti porta con sè 20 anni di esperienza di venture capital con investimenti realizzati per un valore complessivo di oltre 1.5 miliardi di dollari. La sua esperienza inizia come investment manager in Deutsche Bank Tech Ventures e poi come partner del fondo Doughty Hanson Tech Ventures e come membro del Board dell’acceleratore Seedcamp.
Niccolò Manzoni è uno dei primi investitori europei in Foodtech. Come manager di un importante  Family Office inglese, ha costruito un portafoglio di 10 delle aziende che hanno definito il settore del Foodtech, quali Impossible Foods, Perfect Day, Beyond Meat, Clear Labs and Memphis Meats. Ai due fondatori si aggiunge un team con esperienza pluridecennale nell’industria agro-alimentare, tra cui Giancarlo Addario (ex Barilla) basato a Bologna nel cuore della Food Valley Italiana, Marco Iotti (ex Nestlé) e Rob Wylie (ex Shell Agrichem).
Un team quindi fatto da due partner italiani e con altri due italiani nel team, un fondo che quindi guarda con decisione all’Italia, cosa che porterà una crescita di attenzione verso le imprese del foodtech nazionali e verso l’intero settore che è nel pieno di una rivoluzione cosa che i fondatori di Five Seasons Ventures hanno intuito essere carica di opportunità.

Alcune aree di interesse iniziale del fondo includono shifting diets con focus su aziende che utilizzano tecnologie per migliorare cibo e nutrizione, tecnologie volte alla trasparenza e sicurezza nelle filiere, o alla riduzione degli sprechi alimentari e tecnologie che incrementano la resa di produzione agricola senza aggiungere pressione sulle risorse ambientali. Five Seasons Ventures è autorizzata e regolata dall’AMF, Autorité des Marchés Financiers. Il fondo è supportato dal programma InnovFin Equity con investimento dell’Unione Europea all’interno del programma Horizon 2020 Financial Instruments. Altri investitori includono Nestle’, Fondo Italiano d’Investimento e il fondo francese Bpifrance.
Sempre secondo la nota diffusa Farneti e Manzoni hanno sottolineato, rispettivamente, come nel 2018, l’opportunità di investire in foodtech ricorda l’entusiasmo che il mercato del software e di internet aveva nel 1997, quando l’ondata di innovazione non trovava ancora un’adeguata offerta di capitale specializzato a finanziarla. Questo è il momento di investire nel Foodtech innovativo, e Five Seasons Ventures si muove per portare capitali istituzionali e la mentalità del venture capital anche in questo settore. E come i consumatori stanno mostrando sempre più interesse al cibo che comprano e mangiano, alle loro diete, alla riduzione di sale, zucchero e grassi saturi, ma anche interesse alla nutrizione personalizzata e ai benefici della comprensione del microbioma interstinale. Per questo Five Seasons Ventures cerca aziende che possono cambiare la dinamica di questo settore, che hanno tecnologie provate, l’inizio di trazione commerciale e sono nel mirino strategico delle grosse aziende agro-alimentari.
Nei prossimi giorni approfondiremo con i fondatori di Five Seasons Ventures le dinamiche di investimento cercando anche di capire quali sono le aziende sulle quali hanno già puntato i loro riflettori.

Vademecum in dieci mosse per affrontare in piena sicurezza l’ingresso in un nuovo mercato estero.
Dopo aver tracciato le leve strategiche di internazionalizzazione per le imprese italiane, evidenziamo e analizziamo gli aspetti critici da considerare nella valutazione della migliore modalità di ingresso in un nuovo mercato. Tracciamo a questo fine un Decalogo delle priorità:
1. Termini contrattuali
2. Fattibilità economica del progetto
3. Conoscenza di interlocutori e partner aziendali
4. Attenzione ai flussi di cassa
5. Evitare business poco chiari
6. Non accettare compromessi o scorciatoie
7. Agire entro le regole del WTO
8. Valutare potenziali problemi e apprendere dagli errori
9. Limitare l’esposizione
10. Essere presenti

1. Termini contrattuali: chiarezza
Con ciascun interlocutore professionale è necessario definire da subito le condizioni di prestazione, sottoscrivendo uno specifico contratto. Non siglarlo, o farlo senza pretendere chiarezza delle condizioni contrattuali, è costituisce quasi uno svantaggio per l’azienda.
Quando si entra in accordi contrattuali con partner di altro Paese bisogna specificare con attenzione termini di pagamento e livelli di servizio / prodotto, definendo scadenze e curando ogni dettaglio. Fondamentale è richiedere una
consulenza legale, e non basarsi solo sulla sola fiducia nel partner.
Conviene anche assicurarsi che il partner abbia le autorizzazioni per svolgere le attività previste dal contratto. Persino la presenza di rappresentanti del governo locale non garantisce sempre l’esistenza di licenze: è bene procedere con una verifica in maniera indipendente.
2. Fattibilità economica del progetto: stime

Il progetto deve essere sostenibile economicamente, non sulla base di promesse o desiderata ma di un Business Plan veritiero e verosimile, ipotizzando un punto di pareggio (BEP – break even-point) non nell’immediato: sono pochi i mercati che già al primo anno di attività permettono un pareggio, che normalmente avviene almeno dopo due o tre anni, a seconda della modalità di ingresso e del tipo di attività.
3. Interlocutori e partner: buona conoscenza
Non sempre si conoscono in profondità le attività svolte e le potenzialità nascoste dei propri partner: dal fornitore di servizi al distributore in esclusiva dei prodotti, è bene conoscerne il business nel dettaglio con una adeguata due-diligence, soprattutto per i key-partner, con un controllo da fonti indipendenti sull’origine delle informazioni del proprio partner o del cliente.
4. Flussi di cassa: attenzione ai pagamenti
Un contratto con un partner insolvente è senza valore, quindi bisogna fare molta attenzione ai dettagli delle forme pagamento. Se si desidera essere pagati in valuta straniera, è indispensabile pensare a come tutelarsi dal rischio di cambio.
Se, come spesso accade, i pagamenti sono dilazionati nel tempo, occorre tutelarsi al massimo per ridurre il rischio di insolvenza (ad esempio utilizzando lettere di credito e altre forme di pagamento “sicure”. L’unica forma di pagamento sicura al 100% è quello anticipato, anche se spesso difficile da imporre al cliente. Almeno nella prime operazioni, è raccomandabile ricevere un sensibile anticipo, (50- 70% dell’ammontare pattuito), definendo comunque sempre un pagamento garantito sul resto.
5. Business poco chiari: da evitare
Sia a livello di aree che di prodotti capita a volte che interlocutori locali propongano operazioni “sicure” sebbene non del tutto in linea con leggi locali/internazionali. La conclusione più probabile di tali “deal” è la perdita dell’intero investimento!
Conviene fare sempre riferimento ai regolamenti della World Trade Organizations, e verificare le leggi locali. Ad esempio, in Cina è vietato importare prodotti alimentari freschi. Sebbene non sia una attività illegale secondo le regole
internazionali, lì non è consentita.
6. Compromessi o scorciatoie: mai accettare

In molti Paesi l’offerta di “scorciatoie legali è ancora, purtroppo, pratica diffusa nonostante la mano pesante dei governi. Oltre alla valutazione morale di comportamenti riprovevoli, dunque, è bene ricordare che in alcuni Paesi le punizioni sono molto severe (dalla multa, alla carcerazione fino alla pena capitale): quando ci viene chiesto di pagare tangenti, bisogna fare marcia indietro, ricordando ai proponenti dei limiti di legge e del rischio notevole per entrambi.
7. Regole: rifarsi al WTO
È buona norma cercare il supporto del proprio governo e della Comunità Europea a tutela dei propri investimenti o attività all’estero: a tale scopo bisogna essere a conoscenza dei regolamenti o normative del proprio settore. Se si contravviene alle norme sarà poi quasi impossibile ottenere difendere i propri interessi e investimenti.
8. Potenziali problemi: imparare dagli errori
Errare humanum est!!! vale in tutto il mondo ma soprattutto nei mercati più complessi: bisogna valutare tutti i potenziali rischi e guardare agli errori propri e altrui. Un’analisi delle best practices internazionali nel Paese in cui si intende operare (e anche dei casi di insuccesso) è sempre utile, magari organizzando incontri con operatori già presenti.
Oltre al business-plan per valutare la profittabilità è quindi utile investire tempo studiando i rischi e creando strategie alternative, ipotizzando anche una eventuale
exit-strategy (e costi associati).
9. Limitare l’esposizione
Una risk analysis prima di investire all’estero – per conoscere il livello di rischio massimo e minino e il grado di accettabilità da parte dell’impresa – aiuta ad essere realistici su quanto rischio si possa e si voglia accettare.
Per valutare il mercato conviene utilizzare fonti più approfondite di quelle ottenute da partner, giornali, fiere o conoscenti. Conviene definire verifiche del progetto e strategie di fuga nel caso peggiore dello scenario.
10. Essere presenti
Progetti, vendite e acquisti nella maggior parte dei mercati richiedono oggi livelli alti di conoscenza e costante attenzione. Mai pensare che attività profittevoli possano funzionare da sole! È indispensabile considerare accuratamente tutti i dettagli del business, senza delegare troppo ai partner locali.

Forme deboli di internazionalizzazione quali il “puro” export (affidandosi totalmente ad altri), anche se portano profitto nell’immediato, difficilmente permettono di costruire un vantaggio competitivo consolidato nei mercati esteri.
L’IDE resta il miglior approccio a un mercato estero e, se proprio non è possibile, la cosa fondamentale è individuare la forma più adatta alla propria realtà aziendale che consente di essere sufficientemente presenti e proattivi nel nuovo mercato.

Business oltre confine grazie a strumenti pubblici, finanziamenti agevolati e a fondo perduto: guida alle soluzioni SIMEST per le PMI.
Alle imprese che guardano oltre i confini nazionali e riconoscono nell’internazionalizzazione un’opportunità di crescita, SIMEST – società del gruppo CDP (Cassa depositi e prestiti) offre supporto nell’intero percorso di insediamento sui mercati esteri, mettendo a disposizione soluzioni adatte per gestire al meglio ogni fase: finanziamenti agevolati, assistenza e partecipazioni al capitale.
Oltre ai finanziamenti agevolati per l’internazionalizzazione, dunque, SIMEST offre:
 studi di fattibilità;
 partecipazione a fiere, mostre e missioni di sistema;
 programmi di inserimento sui mercati extra UE;
 assistenza tecnica per la formazione del personale in loco;
Studi di fattibilità
SIMEST concede finanziamenti a tasso agevolato per la realizzazione di studi di fattibilità relativi a investimenti in Paesi extra UE, strumenti indispensabili alle imprese per verificare gli effettivi vantaggi derivanti dagli investimenti fuori confine. Il finanziamento – di durata pari a 4,5 anni – copre fino al 100% delle spese preventivate e fino al 12,5% del fatturato medio dell’ultimo triennio, a valere sui
costi sostenuti per personale, viaggi, soggiorni e consulenze. L’importo massimo finanziabile è pari a 150mila euro per studi collegati a investimenti commerciali e a
300mila euro per studi collegati a investimenti produttivi. È prevista la possibilità di beneficiare di una prima erogazione di risorse (l’importo è compreso tra il 50% e il 70% del totale finanziato).
Partecipazione eventi e missioni
La promozione del business all’estero passa anche attraverso la partecipazione a manifestazioni ed eventi di settore, in questo caso promossi in Paesi extra UE. SIMEST eroga finanziamenti a tasso agevolato entro un limite di 100mila euro e fino a un massimo del 10% dei ricavi dell’ultimo esercizio, di durata pari a 3,5 anni e mirati a coprire i costi sostenuti per l’area espositiva, le attività di consulenza e promozione, le spese logistiche.
Questa soluzione permette di ottenere migliore visibilità del brand presso i buyer di settore e non sono richieste garanzie, fatta eccezione per l’eventuale quota di finanziamento che supera il margine operativo lordo dell’ultimo bilancio dell’impresa.

Dal 2017, lo strumento è stato esteso anche alle missioni di sistema promosse dal Ministero dello Sviluppo Economico, dal Ministero degli Affari Esteri e organizzate da ICE, Confindustria e da altre istituzioni e associazioni di categoria. Inserimento sui mercati extra UE Le imprese che si affidano a SIMEST possono inserirsi in modo efficace sui nuovi mercati grazie al sostegno finanziario per realizzare strutture commerciali in un Paese extra UE: i finanziamenti a tasso agevolato durano sei anni e sono finalizzati all’attivazione di ufficio, show-room, negozio / corner e alle relative attività promozionali. L’importo massimo erogabile è di 2,5 milioni di euro e può raggiungere il 100% del totale preventivato (entro il 25% del fatturato medio dell’ultimo triennio).
Formazione in loco
Offrendo soluzioni per soddisfare a 360 gradi le esigenze delle imprese che investono nei mercati esteri, SIMEST finanzia anche la formazione del personale operativo nel Paese di destinazione. Il finanziamento a tasso agevolato (di durata variabile tra 4 e 6 anni) copre le spese sostenute per personale, viaggi, soggiorni e consulenze e può coprire fino al 100% dell’importo delle spese preventivate, fino a 300mila euro, entro il 12,5% dei ricavi medi dell’ultimo triennio.
Patrimonializzazione PMI esportatrici
Le PMI italiane costituite in forma di società di capitali, che nell’ultimo triennio hanno realizzato all’estero almeno il 35% del proprio fatturato, possono beneficiare di un finanziamento mirato a migliorare o mantenere il livello di solidità patrimoniale posseduto (rapporto patrimonio netto / attività immobilizzate nette).
L’importo massimo finanziabile – fino a un massimo di sette anni – è pari a 400mila euro e non può superare il 25% del patrimonio netto dell’impresa.
Il tasso di interesse agevolato è pari al 10% del tasso di riferimento UE, fissato mensilmente.
Requisiti e accesso ai finanziamenti
Le imprese interessate a questi finanziamenti agevolati possono verificare il possesso dei requisiti di accesso (ad esempio in termini di fatturato) visitando il sito web SIMEST – dove sono reperibili le schede dettagliate di tutti i prodotti disponibili. Inoltre, grazie al Portale SIMEST il finanziamento può essere richiesto online in pochi passi. Entrando nell’area ad accesso riservato, è possibile ottenere una pre-valutazione della propria impresa, gestire i finanziamenti già ottenuti e ricevere assistenza online.
Altri strumenti
 Partecipazione al capitale: SIMEST affianca le imprese negli investimenti diretti attraverso la partecipazione al capitale di rischio;
 Supporto all’export: credito all’esportazione, in forma di credito acquirente e credito fornitore, per consentire alle imprese esportatrici di beni di investimento di offrire ai propri clienti esteri dilazioni di pagamento a
medio/lungo termine a condizioni competitive.
SIMEST, con SACE, costituisce il Polo dell’export e dell’internazionalizzazione del Gruppo Cassa depositi e prestiti, un unico punto di accesso a tutti gli strumenti finanziari e assicurativi per le imprese che vogliono competere e crescere a livello internazionale.

Ecco i 7 falsi miti dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, utili da conoscere per espandersi nei mercati esteri.
Secondo una recente ricerca – che HSBC ha commissionato all’Università di Padova- CMR – sui processi di internazionalizzazione, l’Italia risulterebbe un Paese acquirente piuttosto che venditore e due aziende italiane su tre (65%) non utilizzano il marchio “Made in Italy” nel loro business internazionale. Si tratta di alcuni dei falsi miti messi in discussione dalla rilevazione “Le aziende italiane alla conquista dei mercati esteri“, effettuata intervistando oltre 800 aziende italiane di medie e grandi dimensioni.
Made in Italy
Il Made in Italy che non ti aspetti
Chi impiega il marchio Made in Italy riconosce però l’elevato valore aggiunto che genera (90%). Le aziende italiane che utilizzano questo marchio appartengono prevalentemente ai settori tessile, della moda (80%) e alimentare (59%).
Acquisizioni
Secondo la ricerca quasi la metà delle medie e grandi aziende italiane ha realizzato almeno un’acquisizione e, nell’81% dei casi è avvenuta all’estero, mentre solo il 13% delle aziende di medie e grandi dimensioni italiane è stato acquisito da società estere. Dunque l’Italia non è un “Paese in vendita”.
Produttività e redditività
Sfatato anche il mito secondo il quale “l’esportazione aiuta le aziende a risolvere i loro problemi di produttività e redditività”: essa amplifica sia i comportamenti virtuosi che viziosi delle imprese, ma non sussiste alcuna relazione tra redditività e produttività e apertura verso l’internazionalizzazione. Tuttavia l’analisi sottolinea come le aziende che decidono di diventare esportatrici tendono a essere quelle che
hanno già un elevato livello di produttività.
Imprese innovative
Non è vero poi che “le aziende italiane non innovano”: meno del 30% delle aziende non innova, mentre quasi il 90% degli esportatori più rilevanti ha introdotto innovazioni di prodotto e di processo negli ultimi tre anni.

Non solo manifatturiero
Ad esportare non sono solo le imprese manifatturiere, anzi oltre il 65% delle principali società italiane che operano nel settore terziario esporta.
Le motivazioni di chi esporta Chi decide di internazionalizzare non lo fa per tagliare i costi, come spesso si è portati a pensare: si tratta della motivazione che muove verso l’estero solo il 22% degli intervistati, mentre il 39% è spinto ad aprirsi ai mercati esteri per la presenza di clienti o fornitori chiave a livello locale (39%), oltre alla disponibilità di partner locali qualificati (20%) e alla vicinanza dei mercati di sbocco (18%).

Burocrazia
Tra i falsi miti più diffusi troviamo poi la convinzione che “la burocrazia e le questioni fiscali sono solo problemi italiani”, invece ben il 61% delle principali aziende italiane evidenzia tra gli ostacoli dell’operare all’estero proprio la burocrazia, a seguire la difficoltà di reperire adeguato capitale umano (47%), la protezione della proprietà intellettuale (per il 39% delle imprese), le differenze linguistiche e culturali e la
corruzione (19%).

Cos’è il syndicate investing e il ruolo dell’equity crowdfunding
Investire in startup è stata per lungo tempo un’attività riservata agli investitori
esperti. Da qualche tempo, e grazie sia a nuovi strumenti sia a una maggiore cultura
diffusa sulla opportunità e sui rischi legati a questo tipo di investimenti, questo
specifico mercato è diventato più accessibile a chiunque lo desideri. I portali di
equity crowdfunding permettono a tutti di investire anche partendo da poche
centinaia di euro, anche se, va ribadito, che l’investimento in questa nuova asset
class resta da considerare ad alto rischio ed è pertanto necessario conoscere il
funzionamento e il ciclo di vita di una startup e applicare una corretta logica di
diversificazione, per aumentare le possibilità di ritorno.
Un modo per diminuire questo rischio e per accrescere le potenzialità
dell’investimento è permettere a tutti di partecipare a round guidati da investitori
esperti. Per chi investe in startup è quindi un valore significativo quello di poter
contare sulla partecipazione di investitori esperti (i cosiddetti lead investor) alla
governance della società. Spesso le startup strutturano i round in modo che agli
investitori vengano offerte quote senza diritto di voto, che non consentono di
partecipare quindi alle decisioni importanti della società. Anche nel caso di
sottoscrizione di quote con diritto di voto, infine, si tratta sempre di minoranze
quasi irrilevanti.
Il co-investimento con lead investor oltre a garantire che la negoziazione con
l’azienda è fatta da investitori esperti, allinea gli interessi di tutti gli investitori di
minoranza in un unico patto, il syndicate, che permette inoltre l’accesso a maggiori
informazioni sull’andamento della società e quindi consente di prendere decisioni
informate sui futuri round.
I numeri del syndicate investing nel mondo spiegano il motivo per cui questo
modello funziona, basti pensare che la sola AngelList, piattaforma che permette di
costruire syndicate di soli investitori accreditati (ovvero con determinati requisiti
patrimoniali o di reddito) ha raccolto oltre 600 milioni di dollari.
“Crediamo molto in questo modello, che rende possibile la convivenza di investitori
esperti e investitori retail. L’equity crowdfunding ha democratizzato gli investimenti
in startup rendendoli accessibili al pubblico e questa è una cosa fantastica,
soprattutto in Italia dove soffriamo una forte scarsità di investitori istituzionali e
invece c’è abbondanza di capitali privati. Tuttavia chi conosce bene questa asset
class conosce i rischi e sa che c’è bisogno di esperienza per valutare le opportunità
d’investimento” – spiega a Startupbusiness Matteo Masserdotti, CEO di Two
Hundred – “Finalmente rendiamo possibile a tutti l’investimento in round altrimenti
inaccessibili, grazie all’utilizzo di best practice tipiche del venture capital e del
network di lead investor che stiamo creando”.
Del modello di syndicate investing applicato alle operazioni di seed capital si parla in
modo approfondito il giorno 5 aprile in un incontro (qui il link per registrarsi),

moderato da Emil Abirascid, direttore di Startupbusiness e in collaborazione con
Fintech District, Two Hundreds e Digital Magics, volto ad affrontare la tematica
degli investimenti in seed e venture capital in Italia, applicando logiche di sistema e
regole comuni a tutti gli operatori. Il dibattito sarà aperto da Innocenzo Cipolletta,
presidente del Fondo Italiano d’investimento il quale fornirà un outlook sulla
situazione del venture capital in Italia dal punto di vista del maggior co-investitore
italiano in qualità di gestore di Fondi di fondi e Fondi di investimento diretti in
venture capital, e continuerà approfondendo le reali opportunità offerte dall’utilizzo
di piattaforme online di investimento con i rappresentanti delle principali
associazioni di Business Angel italiane: Italian Angels for Growth, Iban e Club degli
Investitori e con la partecipazione di rappresentanti di incubatori, fondi di venture
capital, veicoli d’investimento e portali di equity crowdfunding.

La Commissione europea e l’European investment fund (Eif) hanno annunciato qualche giorno fa una cosa che si chiama VentureEU. Si tratta in pratica di un programma paneuropeo di fondo di fondi di venture capital con l’obiettivo di dare  una spinta agli investimenti in startup e scaleup innovative di tutto il Continente.
La notizia, riportata sul sito della Commissione europea , snocciola una serie di numeri che parlano di una prima iniezione di capitale da 410 milioni di euro che negli obiettivi dovrà generare una raccolta di 2,1 miliardi di euro di ulteriori investimenti da parte sia di entità pubbliche sia private. Il tutto al fine di generare una quantità di denari complessivi da destinare a startup e scaleup nell’ordine dei
6,5 miliardi di euro, vale a dire – riporta la comunicazione della Commissione europea – il doppio rispetto a quanto è attualmente investito.
Quindi 6,5 miliardi di euro che si aggiungono agli altrettanti che sono stati investiti dai venture capital europei nel 2016 per un totale di 13 miliardi di euro che inizia a diventare una cifra significativa benché ancora lontana dai quasi 40 miliardi di euro investiti negli Usa nel medesimo periodo.
Un ulteriore obiettivo che la Commissione europea si pone con il programma VentureEU è quello di accrescere il valore medio dei fondi che oggi è pari a 56 milioni di euro contro i 156 milioni di euro del valore medio dei fondi Usa. Ciò
nell’ottica anche di aumentare le unicorn europee che nel 2017 sono state 26 contro le 109 statunitensi e le 59 cinesi.
Sempre secondo le previsioni della Commissione europea questa iniziativa avrà impatti finanziari positivi su circa 1500 startup e scaleup dell’Unione.
Più nel dettaglio i 410 milioni di euro e oltre arriveranno da risorse di Eif, per 67 milioni di euro, da Horizon2020 InnovFin Equity per 200 milioni di euro, dal programma Cosme per le piccole e medie imprese per 105 milioni di euro e
dall’European fund for strategic investments (Efsi) per altrettanti 105 milioni di euro.

Saranno creati sei fondi di fondi che investiranno in altrettanti fondi di investimento operando ognuno in almeno quattro Paesi della UE e in settori che vanno da information and communication technology al digitale, dalle life science
alle tecnologie mediche, dall’efficienza della gestione delle risorse a quella dell’energia. Operativamente quindi gli investimenti di VentureEU saranno gestiti da Eif sotto la supervisione della Commissione europea e dai sei manager dei fondi. Fino a qui la cronaca, il comunicato della Commissione riporta anche osservazioni e commenti dei vicepresidente della Commissione stessa Jyrki Katainen, del commissario per la ricerca, la scienza e l’innovazione Carlos Moedas, del commissario per il mercato interno, l’industria, l’imprenditorialità e le piccole e medie aziende Elżbieta Bieńkowska e del Ceo di Eif Pier Luigi Gilibert, ora
aspettiamo gli effetti e soprattutto prendiamo atto del fatto che la Ue si muove in modo organico e condiviso.
Nei giorni in cui l’Europa incassa pure l’ammirazione di Mark Zuckerberg per il Gdpr, si articola questo progetto che aldilà di quello finanziario, che resta fondamentale, ha un valore anche di approccio: il superamento dei sistemi su base nazionale. Ragionare su uno scenario europeo quando si tratta di investimenti in venture capital e quindi sostegno all’innovazione d’impresa è una presa d’atto sostanziale sia perché questo è un ambito che possiamo ancora considerare come emergente e quindi meno vincolato da strutture storiche, sia perché uno sviluppo integrato da inevitabilmente maggiore forza non solo alla disponibilità e alla
circolazione dei capitali, ma anche e soprattutto alle possibilità di crescita ed espansione delle startup e delle scaleup. Va da sé che il compimento di questa strategia che con VentureEU compie un passo avanti importante si avrà con una più marcata e definita armonizzazione delle regole di ingaggio in tutti i Paesi dell’Unione al fine di permettere a un veicolo di investimento che ha sede in un Paese maggiormente burocratizzato e fiscalmente meno conveniente di competere a parità di tempi e costi con quelli di altri Paesi dove le normative e la pressione fiscale appaiono maggiormente vantaggiosi sia per chi fa investimenti sia per chi fa impresa grazie proprio a tali investimenti.